Anni fa, Ivano Fossati ha definito Mia Martini come una monomaniaca della musica in quanto artista pura.
Un Festival battesimo di rinascita
Il Festival di Sanremo è alle porte. I preparativi sono frenetici: artisti, conduttori, ma anche tecnici e pubblico si preparano per l’evento mediatico dell’anno. In questo fragore, fatto di sponsor, di jingle, di liti e voci fuori dal coro, sarebbe necessario far calare il silenzio e un faro per illuminare un’artista calabrese che ancora manca: la nostra Mimì.
È il Sanremo del 1989 quando interpreta una delle più belle canzoni della storia della musica leggera italiana. Lei entra in scena con un abito firmato Armani e un passo quasi da bambina. Un’ingenuità che traspare, per chi ha voluto osservare meglio da dentro, infischiandosene delle malelingue, della cattiveria e dell’ignoranza.
Sette lunghissimi anni lontana dai palcoscenici
“Sai la gente è strana” canta. E chissà se proprio in questa frase non si rispecchia nei pensieri.
Nonostante il tempo, nonostante la morte avvenuta nel 1995 durante un nuovo isolamento, la nostra Mimì è ancora viva e celebrata come simbolo; un mito che va oltre la sua straordinaria voce e la capacità interpretativa.
Artista sensibile, inquieta e ‘maledetta’, protagonista di una storia fatta di inciampi e poche riprese; il vissuto di un amore travolgente e di relative sofferenze che l’hanno graffiata intensamente. Artista non piegata alle case discografiche che, a suo dire, l’hanno sfruttata. Una vita infelice da bambina e da adolescente. Una donna di spessore tra gli alti e i bassi della vita che non le ha risparmiato dispiaceri, ma anche conquiste.
La sorella Loredana Bertè, racconta, attraverso i microfoni di GAY TV, episodi sconcertanti: un padre violento, un padre padrone, che ha creato non pochi problemi in famiglia, tra percosse e umiliazioni, nonché pare anche causa di un aborto alla moglie, madre delle due artiste. “Padre davvero” è un testo dissacrante, censurato, ma proposto puntualmente in ogni concerto, quasi a voler elaborare il lutto.
Nel web circola un’intervista di Loredana Bertè in cui racconta il rapporto conflittuale e doloroso con il padre.
Mia Martini ha però la fortuna di interpretare canzoni di autori eccellenti, non in ultimo i testi e le melodie di un giovane romano, Claudio Baglioni, che era appena entrato come autore nella RCA italiana, precisamente nel 1970. Per lui interpreta “Lacrime di marzo” e “Gesù è mio fratello” inserite nell’album “Oltre la collina”. Più in là, duetterà e una meno conosciuta “Stelle di Stelle” nell’album capolavoro di Baglioni, “Oltre”. Mimì ci regala un’eredità bellissima e inestimabile.
Una vita tra delusioni, dolori e amori ricambiati
L’amore passionale tra Mia Martini e Ivano Fossati segna negli anni Ottanta il successo per Mimì. Ma è quello stesso amore che la porta a percorrere una strada dolorosa. Un rapporto conflittuale che la segna anche dopo la parola fine con il musicista.
Se la vita privata non è fortunata, non si può dire altrettanto di quella artistica poiché grazie al cantautore ligure, incide brani bellissimi e pietre miliari come “La costruzione di un amore” e “La musica che gira intorno”.
Non è solo la fine di un rapporto sentimentale importante a farla allontanare dalle scene.
Come nell’omonima aria del “Barbiere di Siviglia”, “La calunnia è un venticello che si insinua dolcemente tra la gente e va lontano, e il meschino calunniato, avvilito, calpestato, sotto il pubblico flagello…”. Purtroppo le maldicenze e la cattiveria dell’ambiente artistico la feriscono, chiudendosi in silenzio fino al fatidico 1989. Quell’anno, Aragozzini, direttore artistico del Festival di Sanremo, la vuole sulle scene, su un palco che deve renderle giustizia.
Anni fa, il giornalista Lucarelli ha spiegato come è nata la storia della ‘patente pirandelliana’ di Mia Martini attraverso un servizio televisivo a lei dedicato, facendo trapelare molti dettagli poco edificanti legati al mondo della musica leggera italiana.
Mia Martini come l’Araba Fenice
L’immenso Bruno Lauzi scrive per lei, insieme a Franco Califano, il cammeo “Minuetto”: era il 1973. Nel 1989, insieme a Maurizio Fabrizio, sempre Bruno Lauzi le regala il capolavoro di “Almeno tu nell’universo”. Si narra che questa canzone appartenga al 1972. Era rimasta nel cassetto di Lauzi per oltre dieci anni, proprio perché lui l’aveva scritta appositamente per Mimì. Per fortuna, la canzone è emersa splendidamente per la kermesse sanremese. Il brano non ha segnato solo il ritorno sulle scene di Mia Martini, ma decreta un enorme successo tanto da meritare il Premio della critica e ben due dischi d’oro per le vendite.
La fortuna di Mia Martini: la voce
Non si sbaglia dicendo che Mia Martini è una delle voci italiane più belle. Un po’ come in un palindromo, colpisce la sua durezza e la sua dolcezza. Elegante e raffinata, ma non affettata. È sicuramente una voce dotata di grande capacità e intensità interpretativa, mischiando generi diversi: dal pop al progressive, dal blues e al jazz fino ad approdare alla canzone napoletana.
Nonostante due interventi alle corde vocali che la bloccano per un anno, la sua voce acquista una nuova timbrica che apre una nuova carica interpretativa.
Il decennio successivo ad “Almeno tu nell’universo”, la incorona con altri successi e brani meravigliosi come “La nevicata del ’56″ e “Gli uomini non cambiano” fino all’intensa “Cu ‘mme” cantata con Roberto Murolo ed Ezio Gragnaniello, guadagnando altri due Premi per la critica.
“Quando nel mondo appare un vero genio, lo si riconosce dal fatto che tutti gli idioti fanno banda contro di lui”. (Ivano Fossati)
Da quel 12 maggio 1995, una stella sta viaggiando per l’eternità a illuderci che per sempre c’è una luce su chi non sa più cantare.