Magnifico Incontro con Carlo Greco: emozioni in scena

Carlo Greco
Carlo Greco

Rivelazioni sul ruolo di Carlo Greco in ‘La Terra senza’: domande guidate per una comprensione completa del film

Catanzaro, il cuore della Calabria, si è trasformato nel set di un nuovo e affascinante progetto cinematografico, “La Terra senza”, opera prima del rinomato Moni Ovadia. Il film, sostenuto da Rai Cinema e dal Ministero della Cultura, si annuncia come un’esperienza profonda e coinvolgente, tanto che la sua presentazione al Teatro Comunale il prossimo 27 marzo è già attesa con grande fervore.

Al centro di questa storia, c’è un attore catanzarese, Carlo Greco, già noto per la sua partecipazione alla pièce teatrale omonima del 2008, da cui il film trae ispirazione. Greco, protagonista di questa narrazione cinematografica, si prepara a immergersi nel ruolo di Ludovico, un personaggio che torna in Calabria e si scontra con la sua famiglia, divisa da scelte di vita divergenti. Sul grande schermo, affiancheranno Carlo Greco, Donatella Finocchiaro e altri protagonisti del panorama artistico calabrese, oltre a talenti provenienti da altre regioni.

Questo film promette di toccare le corde più intime dello spettatore, esplorando i legami familiari, le scelte di vita e il senso di appartenenza al Sud, con tutte le sue sfaccettature e le sue contraddizioni. Ma cosa ha spinto Moni Ovadia e il produttore Rean Mazzone a scegliere Catanzaro come location per questo progetto? E cosa ha significato per Carlo Greco tornare alle sue radici per interpretare un ruolo così intenso?

Per saperne di più, abbiamo avuto il piacere di intervistare Carlo Greco, un artista che porta con sé non solo il bagaglio della sua esperienza professionale, ma anche le radici profonde della sua terra natia. Dai primi passi nel teatro classico fino alle esperienze sul grande schermo, il percorso di Carlo Greco è stato un continuo viaggio di scoperta e crescita artistica.

Come è stato lavorare con Moni Ovadia nel film “La terra senza”?

Avevo già lavorato con Moni Ovadia a teatro nello spettacolo “Nota Stonata”, che è stato portato anche in Calabria, quindi lo conoscevo molto bene. In quel periodo l’autrice, Anna Vinci, aveva già espresso il desiderio di fare un film di questa sua pièce teatrale. Essendo in quel periodo in contatto con Moni, gliene parlai perché lui mi chiedeva sempre dei miei programmi futuri. Lui si dimostrò molto interessato al progetto, così nacque la proposta fatta alla produzione, che accettò subito.

Con Moni Ovadia un passaggio dal teatro al cinema. Quale aspetto della sua regia ha trovato più stimolante?
Avendo già collaborato con Moni Ovadia in teatro e apprezzato l’esperienza, ho trovato il lavoro sul set altrettanto gratificante. Abbiamo collaborato molto; lui non imponeva delle scelte, ma le proponeva, e poi erano gli attori a decidere. Ci consigliavamo e coordinavamo, e poi veniva fuori la scena da girare.

Puoi raccontarci un po’ di più su Ludovico, il suo personaggio, e quali sfide ha affrontato nel portarlo sul grande schermo?

Il mio personaggio ha avuto origine da questa pièce teatrale. Successivamente è stato ulteriormente sviluppato nella sceneggiatura, ampliando notevolmente la sua portata. Moni Ovadia e Anna Vinci, nell’adattarlo per il grande schermo, hanno saputo espandere la trama con grande creatività, introducendo nuovi elementi che arricchiscono la storia. Avendo vissuto personalmente l’emigrazione, sono riuscito a immedesimarmi nel personaggio.

Quindi siete accomunati da un’esperienza comune.

Anche io sono partito da Catanzaro quando avevo vent’anni. Inizialmente è stato per frequentare l’università, poi mi ho deciso di rimanere definitivamente a Roma.

Ha sempre pensato che diventare attore sarebbe stata una scelta definitiva?

Ho sempre pensato di fare l’attore nonostante la laurea. Ho lasciato anch’io, come Ludovico, la mia terra. Poi le cose cambiano. Non è mai uguale l’interprete all’attore. Nei personaggi c’è qualcosa dell’interprete, e viceversa. Bisogna scavare e trovare qualcosa di sé stessi nel personaggio.

Come è stato tornare a recitare in Calabria, la sua terra natia, per questo progetto e quali elementi della regione ha trovato più ispiranti per il suo lavoro?

Ero già tornato in Calabria grazie alle tournée teatrali, nel senso che con le compagnie abbiamo fatto delle prime nazionali. È stato un ritorno meraviglioso, ritrovando persone conosciute allora, diventate anziane. E poi ritrovarle in teatro è stata un’emozione bellissima.

Ritornando a Catanzaro per girare il film ha trovato una città diversa?

Ho trovato la città cambiata in meglio, molto bella, molto curata, cosa rara oggi per le città italiane. Devo dire che sono pochissime le città pulite. Ho trovato Catanzaro molto pulita, piena di luce, luminosa. Ho trovato nuovi locali, il verde molto curato. Ho trovato una città nuova. L’emozione è stata tanta, e soprattutto ritrovare i luoghi dove io facevo le mie piccole fughe: i vicoli. 

Ha ricordi particolari dei nostri vicoli?

I vicoli di Catanzaro mi hanno sempre appassionato. Da ragazzo non camminavo mai per il centro o per il corso, ma nei vicoli. Mi davano un senso di protezione. Mi colpivano gli odori. Ci sono queste belle case con gli orti. Questa degli orti è una cosa che ho sempre dentro di me, sin da ragazzo, perché facevo sempre queste passeggiate: ritrovare i vicoli e percorrerli mi ha emozionato tantissimo.

C’è una scena del film in cui è ripresa la processione della Naca, girando per i vicoli avrà rivissuto i suoi ricordi.

Sicuramente. Durante la processione della Naca, mi hanno chiesto consigli riguardo al percorso. Abbiamo optato per Via De Grazia, una via secondaria, molto stretta, che personalmente mi riportava a casa, partendo dal San Giovanni per arrivare al Duomo, dove risiedeva la mia famiglia. Quella strada aveva un significato particolare per me. Inoltre, mi affascinava la bellezza di Via Santa Maria del Mezzogiorno e la vista del ponte. Queste location sono state riflesse nel film.

Ha avuto l’opportunità di lavorare con giovani attori per questo film. Qual è stata la tua esperienza e cosa hai imparato da loro?

Alcuni giovani attori con cui ho avuto un contatto più diretto li ho trovati molto bravi. Fare quest’arte non è facile. Sono sicuramente bravi e potrebbero emergere dei talenti, se coltivati. Però io non ho avuto molto contatto diretto con loro. Gli altri attori più giovani erano nelle scene separate. Li ho visti prima che facessero i missaggi e Ovadia mi è parso molto contento.

Ha recitato in numerose produzioni, dal teatro al cinema alla televisione. Cosa trova di più gratificante in ogni mezzo espressivo e quali sfide differenziano l’interpretazione per ciascuno di essi?

Il teatro è sempre molto più immediato. Le emozioni che ti dà il teatro sono tantissime: vibra. Sai che il pubblico è lì e lo percepisci. Hai un faro che ti illumina, non lo vedi, ma lo senti. Senti il respiro, crei un’emozione diretta con il pubblico che è un rapporto amoroso. Io lo vivo come un rapporto amoroso e capisci subito se ti segue o no, se è attento. Sono un attore generoso, pur conoscendo la tecnica è difficile che io la metta in atto.

Un contatto con il pubblico diverso per quanto riguarda il cinema

Il cinema, invece, è interessantissimo dal punto di vista tecnico. Quando la lente della macchina da presa ti fissa mentre stai recitando, tu la devi dimenticare. Devi dimenticare che c’è tanta di gente che ti guarda. È molto più pensato, molto riflessivo e meno immediato. È diverso dal punto di vista recitativo.

Si può dire la stessa cosa della televisione?

La televisione ha riprese con un ritmo diverso. Devi fare diversi minuti di presa e hai meno tempo per poterci lavorare sopra. E’ importante che gli stati d’animo arrivino per quel personaggio; devi essere veloce. Sono puntate lunghissime e tutto costa di più.

Mi sembra di capire che il teatro sia la tua grande passione

Amo il teatro, che è al primo posto, poi viene il cinema, e la televisione la faccio sicuramente, ma per me viene dopo perché tutto è più veloce, quindi devi essere straordinariamente bravo dal punto di vista tecnico.

Cosa ci si deve aspettare da “La terra senza” e perché pensa che sia un film importante per il pubblico italiano e internazionale?

Si deve entrare molto del gioco dei personaggi. È una storia fatta di sentimenti, di stati d’animo. Il messaggio è che anche se si va via dalla propria terra, si può ritornare per quanto possa sembrare che si ritorni da sconfitti, invece non è così.

È più forte chi vince?

Non è detto che sia così. Dopo quarant’anni, si può decidere di ritornare con un pretesto abbastanza banale, che è quello di vendere la casa di famiglia, poi si scopre che non è quello il motivo fondamentale. Alla fine, una volta che si è arrivati là, tutti i ricordi e le sofferenze del passato vengono fuori.

Purtroppo la Calabria è una terra che spinge i giovani ad emigrare

Non è che si va via dalla Calabria solo per questo motivo: gli italiani sono stati un popolo di emigranti. Dopo la guerra, molti sono emigrati. Questa de “La terra senza” è una storia che, per quanto sia focalizzata sulla nostra regione, parla di un qualsiasi posto da dove si emigra. Una volta si andava in Svizzera, in Germania, in Inghilterra. Siamo stati un popolo di emigranti. Parliamo degli anni ’60.

Nel film è citata Catanzaro?

Nella storia, nella sceneggiatura, non è mai citata Catanzaro. Poi attraverso le immagini si riconosce la città, ma non ha importanza: Catanzaro è il pretesto, ma poteva essere qualsiasi città calabrese. Ludovico rappresenta l’emigrante. È un intellettuale; ci sono tanti emigrati come Ludovico: scrittori, musicisti, artisti. C’è tanta gente che è emigrata per fare il proprio lavoro, oltre all’operaio. Quanta gente ha fatto il concorso in Finanza, allora li mandavano al confine. Non c’era l’Europa, c’era il confine. Si emigra per una ragione o per l’altra. Sicuramente per trovare lavoro o per avere successo e soddisfare un proprio sogno.

Qual è il messaggio che vuole lasciare “La terra senza?”

Il film fa capire come era la differenza di allora ad oggi, quando Ludovico va via, fa capire una serie di decisioni prese al suo ritorno.

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