Marco Paoli mette in scena, a Cosenza, una eccezionale piece di “Le notti bianche”

Marco Paoli 2
Marco Paoli 2

La malinconica solitudine di un sognatore prende vita all’Auditorium Guarasci di Cosenza

AUTRICE: ANTONELLA SCOZZAFAVA

È già il minimalismo della scena che induce a pensare che nessuna distrazione viene concessa a chi guarda. Quell’attenzione, catturata interamente e da subito, si concentra nel tango iniziale. La sinuosità della conduzione dell’esperto danzatore (Massimo Canadè) e l’armonia creata nel movimento a due hanno il sapore del presagio, presagio che si concretizza in una lettura magistrale dell’incipit. Per i fortunati presenti, sarà difficile aprire quel libro e non sentire riecheggiare quella voce, parola per parola, in tutta la sua infinita bellezza.

Encomiabili gli attori in scena: molto brava Nasten’ka (Erica Fuoco), con la sua innocenza di adolescente travolta, da un lato, dall’insicuro ed immaturo amore per il coinquilino e, dall’altro, dalla necessità di sentirsi comunque amata. Tanto brava da suscitare tenerezza fintanto che confida le pene del suo cuore al sognatore o che gli narra della “prigionia” in cui la costringe la nonna; la leggerezza del suo narrarsi, lo stupore di fronte al vissuto del sognatore, l’allegria che spesso si imprime nella voce e nei gesti. È così brava da diventare quasi detestabile quando illude il giovane facendogli credere che avrebbe potuto amarlo, che avrebbero potuto vivere insieme.

Il giovane altri non è se non un ineguagliabile sognatore, interpretato alla perfezione da Davide Carpino. È quasi impossibile non essere soggiogati dalla sua grazia espressiva che fa il paio con la pienezza interpretativa. Il suo mondo di sogni è reso palpabile, i suoi sentimenti magicamente tangibili, l’accorato smarrimento di fronte a quell’amore che sente lo avrebbe invaso fino al punto da spingerlo, mai prima d’allora, a tentare una reazione, a spingere la sua amata a sciogliere la promessa ricevuta. È una creatura delicata eppure tanto forte, al punto da incaponirsi nel voler essere tramite per la felicità della donna che ama, come solo un amore vero saprebbe e potrebbe fare. Ugualmente forte è la liberazione espressiva nel poterle gridare il suo amore, la gioia per le parole di Nasten’ka, l’illusione che avrebbe potuto smettere di sognare. Non fa alcuna difficoltà passare dallo stato di grazia al successivo devastante dolore feroce e quasi fisico. È un’immagine molto forte quella di lui in primo piano, seduto, le spalle lievemente in avanti, le braccia abbandonate sul tronco, le mani che quasi stropicciano quella lettera. Intuizione geniale di Paoli quella di lasciarlo seduto in primo piano mentre, in secondo piano, in una luce più fioca, si intravede appena la ragazza nell’atto di scriverla declamandone ogni rigo. Un inaspettato playback da scena, che di norma si effettua dal retro ma che qui trova la sua armonia direttamente sul palco. La consapevolezza di avere perso l’unica speranza di uscire dal suo bozzolo di sogno sembra esplodere in quel quesito finale, rivolto quasi direttamente agli spettatori ai quali sembra chiedere conforto, accorato seppur dignitoso, doloroso seppur nostalgico. Un sognatore reso magistralmente da Davide Carpino che regala agli spettatori l’incantevole canto introspettivo di un’anima solitaria che è impossibile non amare.

Le notti bianche
Le notti bianche

Per quanto riguarda Marco Paoli, definirlo semplicemente “regista” sembra quasi riduttivo. A ben vedere, sembrava che sul palco fossero in tre. La perizia con cui è stata pensata e realizzata la performance è innegabile. Dai tempi, perfettamente cadenzati al punto da creare in certi momenti un fermo immagine quasi si fosse al cinema, alle musiche. Tutto, dall’inizio alla fine, denota maestria nel gestire testo e attori, tenendo l’attenzione dello spettatore costante. In un’opera in cui i gesti sono pochi e secondari, ha dato loro vita in un alternarsi continuo con parole ed espressioni; è riuscito, in più di un’occasione e senza snaturare l’opera, a far sorridere il pubblico, catturandone ancora di più l’attenzione. Nulla è stato lasciato al caso. Eppure, nonostante questa perizia, l’elemento che più colpisce è la percezione reale di una sensibilità non comune. In un susseguirsi costante, l’amore, l’emozione, la gioia, la delusione o il dolore sembrano danzare sul palco: ogni sentimento trova la sua quadra in un succedersi avvolgente ed emozionale che affascina ed avvolge lo spettatore. Spettacolo da vedere, per l’elevata qualità intrinseca dell’impianto e gli altissimi livelli di recitazione, merito di due grandi attori che hanno saputo mettere a frutto la guida di un regista fuori dall’ordinario.

Insomma, Marco Paoli, coadiuvato dall’assistente regista Maria La Cava e le Produzioni “Una strana Famiglia” e “Live Art”, centra un ennesimo successo che, si spera, riesca ad essere replicato ancora in questa terra di Calabria che, forse, più di altre avrebbe bisogno di tali manifestazioni.