Muccino si difende: “Non sparate sul regista!” Esegesi di un cortometraggio

Calabria, terra mia“, lo spot strapagato dalla Regione Calabria, continua a far discutere. Dopo essere stato travolto dalle critiche, Gabriele Muccino – papà della creatura, tanto attesa e fortemente voluta – ma che non gli ha risparmiato forti attacchi da più fronti, ha risposto alle critiche dei calabresi e non attraverso il portale di Adnkronos.

Muccino: “Non è un documentario.”

Io non ho fatto un documentario sulla Calabria, non era un reportage sulla Calabria. La mia committenza era quella di Jole Santelli, che mi chiese di fare un viaggio d’amore all’interno della Calabria, per raccontare lo spirito della Calabria, perché la Calabria ha uno spirito che non si può raccontare in maniera meticolosa e precisa in un cortometraggio, che deve intrattenere ed emozionare“.

Un racconto per emozionare

Se intrattieni ed emozioni riesci anche a creare il desiderio di venire a conoscere ed esplorare questa terra. La finalità ultima per me, secondo il mandato di Jole, era quella di far venire voglia di conoscere la Calabria. Io ho fatto questo lavoro pensando agli occhi internazionali e anche degli italiani che ne devono ricavare un immaginario filmico, cinematografico che deve trasmettere un’emozione. L’asinello c’era veramente, e io l’ho filmato. Criticano l’uso della coppola perché anacronistico? Io dico che ad esempio io ce l’ho, la uso. Gli abiti dello spot sono per metà di uno dei più grandi stilisti al mondo. Si parla di cose di cui non si sa, solo perché si vuole attaccare questo cortometraggio

Non sono Alberto Angela

È un cortometraggio, non potevo far vedere di più. Un corto richiede sei
giorni di lavorazione e dura otto minuti. Questi son i tempi. In otto minuti o faccio l’Alberto Angela, e non è il caso, o racconto un’emozione cinematografica, ed è quello che ho fatto. Credo di averlo fatto bene, facendo conoscere qualcosa di più. È una Calabria cinematografica, che deve far venire voglia di andarci. Se a un turista viene voglia di andarci, per me quello è il gol. Non importa far vedere se sia autentico o non autentico. Non dovevo raccontare la realtà. È un attacco che comunque non mi decentra, ho visto di peggio in vita mia. Uno fa delle cose, ad alcuni piacciono, ad altri meno. Fa parte del mondo filmico in cui io navigo.”

Voluptatem accipio

Quindi, prendiamo atto che la colpa è dei calabresi che non hanno capito le intenzioni e ne hanno travisato il senso poiché non capiscono niente di tecnica cinematografica, di contenuti multimediali e di marketing. Il che può essere anche vero, ma purtroppo la lettura è univoca.

Credo che il problema non stia nella quantità di ore per realizzare un corto o nei giorni impiegati per le riprese.

A mio avviso, la questione si pone a monte di questo e riguarda la qualità del tempo impiegato nella pre produzione.

Quanto si è dedicato nello scrivere il soggetto e la sceneggiatura, ad esempio? Se fosse stato un film muto, basandosi sulla sola forza delle immagini, da cosa avremmo dovuto capire che si parla della Calabria? Trovo molto debole la giustificazione “non sono Alberto Angela”. Nessuno si sarebbe aspettato un documentario, infatti, ma almeno un richiamo identitario, di un qualcosa meno banalmente scontato e che soprattutto non snaturi l’immagine di una regione riconducendola a realtà, non solo lontane nel tempo, ma addirittura appartenenti ad altre regioni e altri paesi mediterranei.

Ma su una cosa Muccino ha ragione: gli è stato chiesto di fare così. E lui ha fatto ciò che gli è stato chiesto di fare. Non sparate sul pianista, in questo caso sul regista!

Infatti, il nocciolo della querelle non è Gabriele Muccino, ma chi lo ha
scelto per raccontare la Calabria. Un artista deve essere libero di esprimersi
come vuole, alla fine (ma anche di accettare le critiche, però). Non sappiamo se altri registi avrebbero fatto di meglio, è vero. Sappiamo però che questa scelta è stata sbagliata non tanto nell’individuare un regista conosciuto a livello internazionale quanto nel sapere che avrebbe potuto creare un prodotto lontano dalle aspettative di chi lo ha pagato.

A questo proposito, è interessante leggere ciò che ha scritto il milanese Maurizio Crippa de “Il Foglio”: “Va detto, il corto non è che sia brutto: è semplicemente mucciniano. Poi fate voi. E si può dire tutto, al famoso regista,
tranne che non sappia fare un fotoromanzo. E che non sappia che in un
fotoromanzo Mattia Preti, Mimmo Rotella e Nik Spatari, e persino Dulbecco e
Tommaso Campanella non ci devono entrare. Ma l’Italia è così, e la Calabria non fa eccezione: se ci toccano le tradizioni votiamo sovranista, ma se ce le
mostrano in carta patinata ci incazziamo.”

E non è che abbia tutti i torti, in effetti. Gabriele Muccino ha semplicemente
fatto… Gabriele Muccino. Soggettivamente, il prodotto può piacere o meno.

Di parere contrario alcuni intellettuali calabresi

Lo scrittore Gioacchino Criaco – autore di “Anime nere” – commenta così lo
spot di Gabriele Muccino: “Muccino può piacere o no – dice – è certamente uno che di cinema ne capisce, ma il suo cortometraggio è di una pochezza
assoluta che non ti aspetti. Carente sul piano della recitazione e su quello della sceneggiatura. C’è un errore di fondo – dice – in cui la politica calabrese incorre continuamente: che il problema principale della regione sia l’immagine e che cambiando certi stereotipi tutto si risolva. In realtà occorre prima un lungo processo culturale, occorre cambiare la sostanza delle cose, poi cambierà la percezione che si ha della Calabria. Adesso ci rideranno tutti dietro”.

Santo Gioffrè, autore di “Artemisia Sanchez” sottolinea: “È volgare – spiega – perché trasmette l’idea di una colonia sottomessa alla madrepatria. Ci hanno fottuto parecchi milioni per il nome altisonante senza fare nulla.”

Nunzio Belcaro, della Ubik di Catanzaro, afferma: “L’errore è a monte. Ed è
un errore politico, di scelta. Affidare a Muccino, pagarlo in maniera spropositata sulla fiducia, unisce provincialismo e ignoranza artistica. Una
committenza sbagliata la richiesta di fare raccontare in tutta fretta a un
regista la Calabria in otto minuti. Nel cinema, come nella letteratura, meno
spazio hai a disposizione e più intenso deve essere il lavoro. Il risultato di
Muccino è imbarazzante”.

In programma un bando per registi e autori

La Fondazione Magna Grecia ha intenzione di premiare chi saprà raccontare la Calabria lontana dagli stereotipi del corto di Muccino. Infatti, nei prossimi giorni è prevista la presentazione di un bando diretto a filmmaker “con la Calabria nel cuore”. Il compito sarà quello di raccontare la vera identità della Calabria.

L’onorevole Nino Foti, presidente della fondazione, racconta così l’iniziativa:
Sono sicuro che riusciremo a trovare giovani – o non più giovani – registi con la Calabria nel cuore, capaci di raccontare le tantissime emozioni che la
nostra terra fa nascere in chiunque la viva per qualcosa in più delle ore
necessarie a girare un corto. Nei prossimi giorni, appena sarà pronto,
renderemo noti i termini del bando.”

Restiamo in attesa degli sviluppi di questa che sembra una soap opera. Nel frattempo, resta ancora da capire a quale platea Muccino faccia riferimento. Forse una risposta potrebbe stare nel dialogo iniziale:

“Dove vuoi che ti porto? Mare, montagna?”

“Uguale!”

Dello stesso autore: Calabria, terra mia: lo spot “ignorante” di Muccino