Cinquanta anni dopo il Disastro del Vajont: un’analisi profonda con Siruan
CATANZARO, 25 OTT 2013 – A cinquant’anni esatti dall’evento, questa mattina, ho avuto l’opportunità di condurre uno speciale radiofonico sulla Tragedia del Vajont presso la stazione di Radio Catanzaro Centro. Nella trasmissione mattutina “Saluti e Baci”, in onda regolarmente dalle 7:30 alle 9:00, affronto temi di attualità con una prospettiva aperta e internazionale.
Durante la puntata, ho intervistato Matteo Gracis, conosciuto nel mondo della musica come Siruan. La nostra conversazione ha esplorato a fondo la tragedia del Vajont del 9 ottobre 1963. Questo evento ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del nostro paese, e Siruan ha dedicato la sua arte alla preservazione della memoria di quel tragico giorno accaduto cinquant’anni prima. La conversazione radiofonica si è rivelata un momento prezioso per riflettere sulla storia e sul potere della musica nel conservare le tragedie e i ricordi che non devono mai essere dimenticati.
Il rap di Siruan: “Vajont”, la prima canzone sulla tragedia
A cinquant’anni dalla tragedia del Vajont, Siruan interviene in diretta sulla Radio Catanzaro Centro è presenta al pubblico l’unico brano scritto finora su qui fatti. Matteo Gracis, in arte Siruan, è un rapper che vive a Belluno e la storia del Vajont l’ha sempre sentita raccontare dai nonni e dagli anziani nei paesini. Diventato adulto, e ben documentato sulla “diga del disonore” travolta il 9 ottobre 1963, Siruan affida alle sue rime la denuncia della tragedia e delle sue responsabilità.
La tragedia del Vajont
il tempo può attenuare il dolore, ma alcune ferite rimangono aperte per sempre, come nel caso del disastro del Vajont, un evento che ha segnato indelebilmente la storia dell’Italia e delle comunità coinvolte. Il 9 ottobre 2013 ha segnato il cinquantesimo anniversario di quella terribile notte in cui sette minuti di tragedia hanno lasciato cicatrici indelebili sulla terra e nelle vite delle persone.
In quei brevi sette minuti del 1963, si scatenò un’ondata di distruzione che sconvolse interi villaggi e causò la morte di 1.910 persone. La città di Longarone fu spazzata via, e anche Erto e Casso subirono gravi danni. Tra le vittime, vi furono 487 bambini e ragazzi di età inferiore ai 15 anni, mentre 817 persone rimasero non identificate, ridotte in modo orribile alla polvere.
Le cause di questa terribile tragedia furono attribuite ai progettisti e ai dirigenti della SADE, l’ente responsabile della diga, che ignorarono segnali di pericolo evidenti sulle pendici del bacino. Dopo la costruzione della diga, divenne chiaro che la morfologia delle pendici non era adatta a sostenere un serbatoio idroelettrico, ma queste informazioni furono nascoste deliberatamente. Enti locali e nazionali, compreso il Ministero dei Lavori Pubblici, furono coinvolti nella dissimulazione di dati pericolosi.
Alle 22:39 del 9 ottobre 1963, circa 270 milioni di metri cubi di roccia crollarono nel bacino artificiale, generando un’onda di piena che superò di 250 metri il coronamento della diga. Questa ondata distrusse tutto ciò che incontrò lungo il suo percorso, causando devastazione inimmaginabile. Longarone e altre comunità furono sommerse dall’acqua e dalle rocce, lasciando dietro di sé solo morte e distruzione.
I responsabili di questa tragedia furono processati, ma la giustizia non riuscì mai a lenire completamente le ferite delle vittime. Alcuni imputati furono condannati, ma molti furono assolti o beneficiarono di amnistie. La prevedibilità del disastro non fu riconosciuta appieno, e la sentenza della Cassazione arrivò appena quattordici giorni prima della prescrizione.
La lotta per il risarcimento dei danni si protrasse per anni, coinvolgendo la Montedison, l’ENEL e lo Stato italiano. Le corti emisero varie sentenze e contro-sentenze, ma la situazione si chiarì solo nel 2000, con un accordo che distribuì gli oneri del risarcimento tra le parti coinvolte.
Il disastro del Vajont rimane un monito per tutti noi. Ci insegna che la negligenza e l’ignoranza delle sfide geologiche possono avere conseguenze devastanti. Ci ricorda anche che la giustizia può essere lenta e complessa, ma è essenziale per la guarigione delle ferite delle vittime.
Il cinquantesimo anniversario del disastro del Vajont dovrebbe essere un momento di riflessione per tutti noi. Dobbiamo onorare la memoria delle vittime e impegnarci a prevenire tragedie simili in futuro. Solo così potremo sperare di lenire le ferite di quel tragico 9 ottobre 1963 e di evitare che cicatrici così profonde si ripetano mai più nella storia della nostra amata Italia.