Quando ero una bambina, la lettura era il mio primo amore. Racconto spesso di un libro che mio padre mi vietò di leggere perché troppo ‘crudo’ a suo dire; non era adatto per una bambina. Il tomo si intitolava ‘La Storia’ scritto da una donna dalla penna felice: Elsa Morante. Il libro arrivò a casa mia grazie a mia zia Sara che viveva a Viterbo. Mio padre non seppe, o forse fece finta di non sapere, che quel libro lo lessi comunque di nascosto, letteralmente divorato, e ancora oggi per me è il libro al quale sono fortemente legata.
La Storia nella Storia
Racconto questo mio aneddoto personale perché La Storia, mi ha insegnato che, oltre agli eventi studiati a scuola, c’è una Storia ancora più importante, più ‘umana’ che non viene mai tramandata e che invece è essenziale per capire che, oltre ai fatti compiuti da personaggi famosi, ci sono i racconti di vite di persone elise dalle pagine dei libri scolastici che invece meritano rispetto e soprattutto le loro vicende umane sono di grande insegnamento.
Il libro racconta di uomini e di donne durante il periodo fascista. La Storia di anime le quali hanno in comune l’essere nate in un periodo di orrore. Nella umanità rientrano anche i poveri animali e anche gli oppressori; questi ultimi ne escono vittime di scelte politiche altrui. Perché la Storia racconta la vita della gente comune.
Ed è una donna calabrese la protagonista.
Il ruolo delle partigiane italiane
Così, è assolutamente meno nota la storia di donne calabresi partigiane impegnate nelle Resistenza, ma si sa anche il perché. Alle donne partigiane piemontesi, nel dopo guerra, fu vietato loro di sfilare dopo la Liberazione poiché il PCI voleva apparire come una forza politica credibile. Ciò successe anche in altre realtà italiane, figuriamoci in un sud perbenista e tradizionale dove, a fianco di un’Italia desiderosa di ritornare alla normalità anteguerra, c’era anche il retorico pregiudizio in cui la donna aveva un ruolo tramandato da generazioni.
Tante le città in cui i capi brigata suggerirono alle donne di non sfilare oppure di farlo nel ruolo di crocerossina.
I numeri ufficiali parlano di 4.653 donne arrestate, torturate, condannate; 2.750 deportate nei campi di concentramento tedeschi e 623 fucilate o morte in combattimento.
Ma dopo la guerra, il ruolo era quello definito dagli uomini.
Le partigiane calabresi
Le donne partigiane calabresi erano casalinghe, operaie, insegnanti. Tra l’altro, alcune di loro erano giovanissime, ma purtroppo nonostante oggi sia facile reperire informazioni nel web, di loro non si conosce quasi nulla. Il loro apporto nell’opporsi al nazi fascismo si è praticamente perso nell’oblio.
Cecilia, Angiolina, Nina, Beba, questi sono alcuni dei nomi di battaglia di ragazze e donne calabresi che, in un futuro dell’Italia, di nuovo marcato al maschile, ritornarono al silenzio per rioccupare un ruolo in famiglia visto che, per tradizione, i luoghi di lavoro e i poteri decisionali, erano rioccupati dagli uomini.
La resistenza taciuta
“Alcune storie magnifiche sono venute alla luce grazie anche all’Istituto Calabrese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea (ICSAIC) e all’ANPI che cercano meritoriamente di stimolare la ricerca, lo studio, di tenere accesa l’attenzione su una vicenda che man mano riserva sempre nuove sorprese.
Anna Cinanni, di Gerace, sorella di Paolo, subì ripetute sevizie in carcere, una delle dodici biografie di partigiane contenute nel libro La Resistenza taciuta e nell’altro volume di Lentini-Guerrisi I partigiani calabresi nell’Appennino Ligure-Piemontese.
Caterina Tallarico di Marcedusa, sorella del più noto comandante partigiano “Frico” che appena laureata in medicina salì in montagna e cominciò a ricoprire il ruolo di medico nella brigata del fratello Federico e la cui opera venne esercitata non solo verso i partigiani feriti e bisognosi di cure, ma anche nei confronti di tedeschi e fascisti che venivano fatti prigionieri. Per fortuna un suo libro autobiografico, Una donna … un medico … una vita, ci permette di avere tutte le informazioni di prima mano su quel periodo.
Giuseppina Russo di Roccaforte del Greco una delle Api furibonde dell’omonimo libro. Anna Condò di Reggio Calabria.
E poi tante altre donne di cui conosciamo meno: Cosco Lucia (Catanzaro); Lucio Alba (Crotone); Lucio Assunta (Crotone); Di Tocco Maria (Vibo Valentia); Oneglia Antonietta (Catanzaro); Carpino Maria (Colosimi), Fadel Giacomina (Cosenza); Arcidiaco Domenica (San Lorenzo); Bazzani Gazagne Margherita (Sant’Ilario dello Ionio); Pontoriero Anna, Giulia e Tina (Rosarno); Torello Maria (Reggio Calabria); Panuccio Maria (Sant’Eufemia d’Aspromonte); Gangemi Concetta (Palmi); Pata Franceschina (Mileto); Pata Angela (Mileto); Di Tocco Bice (Reggio Calabria); Ranieri Isolina (San Giorgio Morgeto); Forte Carinda (Saracena); Montanari Carmelina (Siderno); Iaconetti Maria (Carolei); Barone Maria (Vibo Valentia); Vuorinna Giovanna (Rossano Calabro)”
(fonte: Claudio Cavaliere)
In conclusione, vorrei ricordare una frase che mi ha colpito durante la lettura di La Storia e che sintetizza ciò che fu quel periodo per le persone ‘normali’. La Storia nella Storia, appunto.
“Non c’è parola in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte”
Il ricordo spetta a chi continua a vivere.
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