La Calabria nel mirino politico attuale è poco più di niente. Probabilmente il fanalino di coda di contesti ben più importanti in cui c’è solo un odore di conquista.
La cronaca ha fatto balzare agli onori (si fa per dire) Antonio Trifoli e Jasmine Cristallo per dei dati sensibili dati in pasto al web. Ma Riace ha anche coperto pagine internazionali per essere considerata esemplare per civiltà e umanità. Parole di elogio che si perdono, macinate dalle lame del mondo di internet e forse nelle aule di un tribunale.
Si aggiunge, la notizia della parentela tra un boss mafioso e il candidato M5S Francesco Aiello, aspirante governatore della Calabria. Questa “cuginanza” sta suscitando imbarazzi e repliche a livello nazionale. Un botta e risposta tra chi accusa e chi tenta di difendersi e difendere.
Non dimentichiamo le affermazioni della Bruno Bossio su Gratteri e le immagini goliardiche di un video, un altro imbarazzo tutto “leghista” di Alfio Baffa, immerso in una vasca con sigaro ed alcolici. Dove un fenomeno come il revenge porn si trasforma quasi in una sagra di paese calabrese nelle pagine dei quotidiani italiani.
Ma c’era da aspettarselo. In un contesto tanto importante in cui si giocano i destini dei singoli partiti in tutta Italia, queste elezioni regionali non possono riguardare solo due regioni come l’Emilia-Romagna e la Calabria, ma – al contrario – interessano a tutti: leader ed elettori italiani. Ma fino a che punto?
Certo, ognuno è chiamato alle singole responsabilità, ma queste fanno parte però ad aspetti più legati alla persona che al politico in sé, più a errori o negligenze fatti dall’uomo, slegati dalle ideologie politiche. Non c’è giustificazione o un tentativo di discolpare atti o situazioni in effetti “imbarazzanti”, ma ciò che scaturisce è la considerazione che si dà come peso specifico al singolo episodio inquadrandolo e proiettandolo nello scenario politico delle elezioni.
Una costante storica
Ciò che sta succedendo in queste ore in Calabria, nella fattispecie, è il risultato di politiche precedenti e di una storia legata al territorio in cui ‘ndrangheta, politica, abusivismo e tentativi di portare in primo piano la legalità sono parte costante di fatti di cronaca e quotidianità. Gratteri, soprattutto in questi giorni per fortuna docet, ma il lavoro svolto è ignorato dai media e addirittura lo si accusa di manie di protagonismo. Risultato di pregiudizi ai quali i calabresi, per primi, sono abituati a subire e, spesso, ad auto-infliggersi.
Maledetto sud, benedetta Calabria
In quanti modi sono stati definiti i calabresi? Mafiosi, sporchi, briganti… Ma gli idiomi portano sempre dietro storie e un passato che “non è passato mai”, direbbe qualcuno.
Vito Teti, ordinario di Antropologia Culturale dell’Università della Calabria, racconta la Calabria in un libro pubblicato da Einaudi, nel 2014, dal titolo emblematico “Maledetto Sud”. In una recensione pubblicata in “letterature e non solo“, l’autore commenta: “Maledetto il Sud” è un libro in apparenza sul Sud. Parte dal Sud, ma riguarda tutti noi. In qualche luogo viviamo oggi. Di qualunque pregiudizio siamo oggetto e qualunque pregiudizio nutriamo. Da qualsiasi luogo proveniamo e in qualsiasi luogo andremo. Parla di tutti noi e del nostro rapportarci al concetto di identità, anche se non ci spostiamo mai.
Pre-giudizi
Ed è dai pregiudizi, che spesso partono proprio dai calabresi, che bisognerebbe incominciare a riflettere e a trarre conclusioni.
“Tutti sono responsabili di questa involuzione, a cui hanno contribuito mafia, istituzioni locali e nazionali, imprenditoria settentrionale: insomma, nessuno si salva l’anima”.
“I valori fondanti del mondo tradizionale sono così andati perdendosi, conducendo a quella apatia che non è affatto un dato etnico del Sud, bensì il frutto della modernità. Dunque, non è il Nord che dovrebbe insorgere contro il Sud: nord e sud dovrebbero unirsi contro una criminalità organizzata che non coincide, in Calabria e altrove, solo con la ‘ndrangheta.”
In un articolo pubblicato su “Il Mattino”, il professore si esprime anche riguardo le elezioni regionali.
«La Calabria è ormai isolata, una terra a parte, e ci sono responsabilità enormi. Di chi è la colpa? È un tremendo gioco di specchi: la Calabria viene rappresentata dal resto del Paese come ultima e la Calabria tiene a tenersi questa rappresentazione. Questo sguardo incrociato è una miscela esplosiva che ci condanna al disinteresse. D’altronde la politica dice: Tanto è persa, perché ce ne dovremmo occupare? Quando si parla del voto in Emilia, bisognerebbe farlo anche della Calabria. Perché l’Emilia segna il destino del governo e dell’Italia e non la Calabria? Ci sono mille emergenze, prima fra tutte, lo svuotamento di interi paesi. E se la politica non si fa carico di questi problemi, cosa si fa allora? Eppure, senza la salvezza di una terra, non ci sarà quella del resto d’Italia. È una visione molto miope e nulla, purtroppo, cambierà”.
Lou Palanca, una porta verso la conservazione della memoria della Calabria
Il collettivo Lou Palanca, pseudonimo del lavoro collettivo di Fabio Cuzzola, Valerio De Nardi, Nicola Fiorita, Maura Ranieri e Monica Sperabene, porta la Calabria fino al mondo esterno, attraverso un ottimo lavoro fatto di storie tra passato e presente. Il collettivo racconta la Calabria con le sue emozioni: dalla speranza alla sofferenza, dalle miserie dei contadini al riscatto morale, dalle lotte politiche alla morte di chi si batte per una Calabria diversa. Alla fine di ciò c’è però l’oblio.
I calabresi hanno un problema di memoria corta mentre invece il ricordo di episodi importanti che hanno determinato l’attuale presente sarebbero da ricordare ogni volta che la politica, e quindi il mondo esterno, si affaccia in Calabria per trarre ancora una volta un profitto.
Senza negare ciò che è la realtà si può imparare la dignità
Nel bellissimo libro “A schema libero”, ma anche in “Ti ho vista che ridevi”, c’è qualcosa che i calabresi dovrebbero imparare a memoria: la maturità di un popolo che conserva la propria dignità senza negare la storia e le sue brutture; le distorsioni legate a una bellezza di una terra antichissima, nobile, e dai tratti naturalistici unici; le deformazioni in cui gli orrori della ‘ndrangheta si fondono a quelli della violenza che entra con forza dal mondo esterno.
Emerge una realtà in fermento, ma è più spesso che si dipinge un sottobosco. Veramente si vuole ancora la Calabria come sud del Mezzogiorno?