«La vera casa dell’uomo non è una casa, è la strada. La vita stessa è un viaggio da fare a piedi».Lo scriveva Bruce Chatwin in uno dei suoi romanzi. Ce lo ricorda la festività del Corpus Domini, che si celebra oggi facendo memoria del miracolo eucaristico avvenuto nel 1263, quando un prete boemo in pellegrinaggio verso Roma si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell’Eucarestia, nello spezzare l’ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che essa davvero essere il corpo di Cristo. Come a rivelare e smentire il suo scetticismo, dall’ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino e alcune pietre dell’altare. Venuto a conoscenza dei fatti, papa Urbano IV istituì ufficialmente la festa, di cui uno dei tratti salienti è la processione, un intreccio di liturgia e teologia che testimonia una duplice verità: non solo Cristo è presente nell’Eucaristia, ma è anche perennemente in cammino al fianco dell’umanità, nelle vie di ogni quartiere ed all’interno della storia dell’umanità.
La processione in particolare, dunque, ha un duplice significato: di santificazione del quotidiano, che consiste nel portare nella vita di tutti i giorni la presenza divina, e di testimonianza della fede in un mondo secolarizzato, che tende a svuotare di senso persino questo aspetto. Un tempo non lontano, ad esempio, la processione orante era appuntamento costante in occasione dei funerali, nel tragitto tra la chiesa e il cimitero. Oggi – e non solo per colpa della pandemia – anche questo è venuto meno, in una società che stenta a riconoscere i segni del divino. Ma è altrettanto visibile l’ipocrisia che spesso si cela dietro il cammino trasformato in mero (e vuoto) rito. E qui tornano preziose le parole di don Tonino Bello: «Perché non dire chiaro e tondo che non ci può essere festa del Corpus Domini finché un uomo dorme nel porto sotto il tabernacolo di una barca rovesciata, o un altro passa la notte coi figli in un vagone ferroviario? Purtroppo, l’opalescenza appariscente delle nostre città, a chi crede, fa scorgere il corpo di Cristo nell’Eucaristia dei nostri altari, ma ci impedisce di scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine».
L’Eucaristia, allora, nel suo significato di Pasqua del Signore che rivive per noi, di Gesù che nella disarmante fragilità dell’ostia si dona invitandoci e non sprecare l’esistenza, inseguendo mille cose inutili che lasciano il vuoto dentro, è essenziale per guardare all’orizzonte al quale tendere, alla memoria da coltivare sempre per guarire da ferite e tristezze, trasformandoci in portatori di gioia capaci di prendersi cura di chi ha sete di pace e amore, di giustizia e dignità, di chi non lavora e fa fatica ad andare avanti. «L’Eucaristia spegne in noi la fame di cose e accende il desiderio di servire», sottolinea Papa Francesco: «Ci alza dalla nostra comoda sedentarietà, ci ricorda che non siamo solo bocche da sfamare, ma anche le sue mani per sfamare il prossimo».
Insomma, per dirla con il Santo Padre, gridandolo forte ai cuori in questa giornata particolare, «sarebbe bello se smettessimo di vivere in conflitto e tornassimo a sentirci in cammino». Di nuovo, finalmente.
Mons Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra