«Per una società la diversità può essere la cosa più difficile, ma pure la mancanza più pericolosa qualora essa non vi sia».
La scuola in quarantena non è uguale per tutti, ed i dati che arrivano certificano la fondatezza dell’aforisma dello scrittore americano William Sloane Coffin. Lo scrive l’Istat, in un rapporto drammatico: nel secondo trimestre scorso il 23% dei circa 300.000 alunni italiani con disabilità non ha potuto partecipare alle lezioni online, e così poco meno di 70.000 tra bambini e adolescenti in tutta Italia sono rimasti esclusi dalle attività didattiche e non per una questione di gap tecnologico: Per un terzo di quei fanciulli seguire le lezioni davanti ad un monitor è stato reso impossibile dalla gravità della patologia sofferta. All’incirca lo stesso numero ha vissuto analoghe difficoltà per mancanza di collaborazione-assistenza da parte dei genitori. Altri ancora hanno scontato l’appartenenza ad un contesto di forte disagio socioeconomico. Questi dati impietosi, sono ancor più crudi nel Meridione, dove a soffrire situazioni come quella descritta è quasi un ragazzo su tre. È la riprova di come la didattica a distanza, pur essenziale ed utile in un momento di grande difficoltà, abbia reso ancor più complesso un processo di per sé delicato come quello dell’inclusione, minato alla base dal venir meno della presenza fisica, delle relazioni con i coetanei, dall’accessibilità degli spazi, dal sostegno di figure competenti, dalla fruibilità di adeguate tecnologie.
Ancor prima dell’apprendimento, è compito della scuola garantire – naturalmente a tutti la socializzazione. Di fronte agli ostacoli frapposti dalla pandemia su questo versante, ci si è posto da più parti il problema su come intervenire per limitare al massimo tali disagi e danni derivanti da questa situazione. Molti accorgimenti sono stati adottati ed il ricorso ai Piani educativi individualizzati ha almeno in parte circoscritto i disagi, pur dovendo fare di conto con la presenza in ruolo di 74.000 docenti di sostegno, più della metà dei quali precari e, dunque, affidatari di bambini diversi rispetto a quelli seguiti l’anno prima. Sullo sfondo resta l’unica soluzione possibile: l’amore, quale base anche di scelte pratiche e concrete come quelle riguardanti l’organizzazione delle attività scolastiche. Pure a scuola, del resto, la vera inclusione si può realizzare soprattutto con un lavoro di vicinanza quotidiana e di contatti fisici reali, in grado di preservare ed integrare i vincoli affettivi e le interazioni familiari quotidiane, nel segno di una cultura più accogliente e rispettosa delle persone, di tutte le persone.
È il passo fondamentale che precede qualunque intervento si voglia pianificare a favore degli individui con fragilità, nella lotta contro i pregiudizi che producono, oltre alle barriere fisiche, anche limiti all’accesso all’educazione per tutti, all’occupazione e alla partecipazione. Un percorso sicuramente lungo, ma per il quale è necessario sia sempre più diffusa una mentalità di solidale impegno civile e così, per come sottolinea papa Francesco, «rendere più umano il mondo, rimuovendo tutto ciò che impedisce una cittadinanza piena e gli ostacoli del pregiudizio, favorendo la qualità della vita».