C’è un nuovo studio sul Journal of Pediatrics che dovrebbe allarmare i genitori che “postano” le foto dei bambini sui social.
Sebbene sia chiaro l’intento dei genitori orgogliosi dei propri bambini, l’analisi delle ricerca invece mette in guardia i genitori dei minori per tanti motivi. Una dei tanti fattori è il furto di identità, ma anche quello di finire nella rete dei pedofili e dei siti pedopornografici.
Il fenomeno della condivisione delle foto si chiama Sharenting, dal verbo inglese “to share”, dividere, condividere. Lo studio ha messo in evidenza che per ogni bimbo ogni anno ci sono in media 300 foto online all’anno.
I consigli e gli avvertimenti della Sip per tutelare i bambini che hanno foto sui social
I pediatri aderenti alla Sip (società italiana pediatri) hanno elencato alcuni consigli e indicazioni per proteggere i minori da un uso illegale delle foto. Vediamo quali sono:
1. Essere consapevoli che lo sharenting è una pratica sempre più diffusa, ma non per questo bisogna sottovalutarne i potenziali pericoli. Condividere immagini, video e qualsiasi tipo di contenuto che abbia come protagonisti i bambini significa, infatti, costruire il “dossier digitale” di un bambino senza il suo consenso e senza che lui ne sia a conoscenza.
2. La condivisione sui social media di materiali e informazioni riguardanti i propri figli deve prevedere una certa cautela e, in molte occasioni, l’anonimato, perché quanto condiviso in maniera dettagliata e personale, come la localizzazione o il nome completo, potrebbe esporre pericolosamente i bambini ad una serie di rischi, primo fra tutti il furto di identità.
3. Non condividere immagini dei propri figli in qualsiasi stato di nudità. Queste immagini dovrebbero rimanere sempre private per il rischio potenziale che possano essere impropriamente utilizzate da altri.
4. Attivare notifiche che avvisino i genitori quando il nome dei loro figli appare nei motori di ricerca.
5. Rispettare il consenso e il diritto alla privacy dei minorenni, quindi familiarizzare con la policy relativa alla privacy dei siti sui quali si condividono contenuti. L’articolo 31 della Costituzione “protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo” e la Convenzione Internazionale su diritti dell’infanzia e dell’adolescenza sottolinea come debba necessariamente essere data preminenza agli interessi e alla dignità del minorenne.
La legge è ancora impreparata al fenomeno
Anche a livello legislativo si sta facendo qualcosa perché attualmente c’è un vero e proprio buco dove è quasi impossibile proteggere i bambini.
In Francia si stata già discutendo una legge, mentre in Italia la Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ha chiesto che siano applicate le disposizioni già in vigore per il cyberbullismo. In pratica, un minore può richiedere e ottenere la rimozione dei contenuti digitali che lo riguardano.
I bambini hanno le foto online ancor prima di nascere
Come afferma il Quotidiano Sanità: “Un recente lavoro, citato nello studio, evidenzia che in media l’81% dei bambini che vive nei paesi occidentali ha una qualche presenza online prima dei 2 anni, percentuale che negli Usa è pari al 92%, mentre in Europa si attesta al 73%. Dati recenti mostrano che entro poche settimane dalla nascita, il 33% dei bambini ha proprie foto e informazioni pubblicate online. E un numero crescente di bambini nasce digitalmente ancor prima della nascita naturale. Infatti, si stima anche che un quarto dei bambini abbia un qualche tipo di presenza online prima di venire al mondo: negli Stati Uniti, il 34% dei genitori pubblica abitualmente ecografie online, percentuale che in Italia si attesta al 15%.”
Si tratta di foto che rappresentano ecografie, ma anche episodi di vita quotidiana che va dal primo giorno di scuola, al compleanno; dalla gita in famiglia al primo giorno di febbre. Tante volte i genitori sono in apprensione oppure, al contrario, felici e pensano che quella foto sarà un ricordo per il futuro.
Eppure, indicare luoghi, nomi, far vedere i parenti prossimi potrebbe minare la sicurezza del minore. Anche gli adesivi sulle auto, apparentemente innocui, ma che riportano i nomi della famiglia potrebbero essere un pretesto per avvicinare ad esempio un bambino che sentendo il nome della mamma o del fratellino si fiderebbe a occhi chiusi.
Sempre sul Quotidiano Sanità si dice che in Svezia è largamente accettato che siano i bambini a dire se vogliono essere ripresi o no.
Il rischio della pedopornografia e dei siti di pedofili è sempre in agguato
Uno tra i più pericolosi rischi della condivisione sui social è quello di finire nei siti pedopornografici.
Le prime tre origini di queste foto sono Facebook (54%), Instagram (16%) e Twitter (12%).
Da un’indagine condotta dall’australiana e-Safety Commission il 50% del materiale presente in questi siti proviene dai social media. Questo perché tante volte i contenuti possono essere visibili a estranei sia per pubblicazione personale che per condivisione, inconsapevoli di stare creando un danno al bambino.
L’allarme è quindi che lo sharenting si stia allargando a dismisura costituendo oggettivamente un problema.
Forse converrà ritornare alle vecchie macchine fotografiche e ai rullini? Sicuramente l’immediatezza di uno scatto con il cellulare ha un suo perché, ma chiedersi “è necessario?” forse salverà quel bambino da un qualcuno le cui intenzioni sono torbide e di conseguenza pericolose.
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