Alzheimer, l’Ue dice sì al primo farmaco che ne frena la progressione

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Lotta all’alzheimer: l’Unione Europea approva il primo farmaco in grado di rallentare la malattia, in attesa del via libera definitivo dalla Commissione Europea

Dopo Stati Uniti, Giappone e Regno Unito, anche l’Unione Europea si avvicina all’approvazione definitiva di lecanemab, il primo farmaco anti-Alzheimer capace di rallentare la progressione della malattia se somministrato in fase precoce. Il Comitato per i farmaci a uso umano (CHMP) dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha infatti raccomandato l’adozione del farmaco per pazienti adulti con diagnosi di lieve compromissione cognitiva o demenza lieve causata dal morbo di Alzheimer.

La svolta arriva dopo che una nuova analisi dei dati clinici ha ribaltato il parere negativo emesso dall’EMA lo scorso anno. Ora la parola passa alla Commissione Europea, che dovrebbe pronunciarsi definitivamente entro pochi mesi.

La notizia è stata accolta con entusiasmo da parte della comunità scientifica. Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia, e Marco Bozzali, presidente della Società Italiana per lo Studio delle Demenze, hanno dichiarato congiuntamente: «Questa decisione apre una nuova prospettiva per i pazienti con Alzheimer, specialmente per coloro che si trovano nelle fasi iniziali, offrendo la possibilità di contrastare la progressione della malattia».

Gli esperti sottolineano la necessità di rimanere cauti. «Non tutti i malati potranno accedere o beneficiare di questo trattamento», hanno avvertito.

In Italia, l’approvazione di lecanemab da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sarà determinante per stabilire i centri autorizzati alla somministrazione della terapia. Nel frattempo, la comunità medica guarda con interesse allo sviluppo di altri farmaci simili, sperando in ulteriori soluzioni terapeutiche per il futuro.

L’annuncio rappresenta comunque un passo cruciale nella lotta contro una delle malattie neurodegenerative più devastanti, con la speranza che, a lungo termine, la ricerca possa rendere il trattamento accessibile a un numero sempre maggiore di pazienti.

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