La parola a chi “combatte in prima linea”
Se è vero che questi tempi di Coronavirus sono paragonabili ai tempi della guerra, allora gli infermieri, i medici e tutti coloro che offrono assistenza ai cittadini e alle persone malate, sono i nostri eroi, i nostri guerrieri, i nostri soldati. E noi dobbiamo resistere a rimanere a casa soprattutto per facilitare il loro lavoro. Soprattutto per salvaguardare la salute dei più deboli e fragili. Per dare voce a chi “combatte in prima linea” in silenzio e con tante ore di lavoro addosso al giorno all’interno degli ospedali, ho deciso di realizzare questa intervista. Ho intervistato la dott.ssa Leone Serena. Che è stata chiamata in quanto specialista tecnico sanitario di laboratorio biomedico, nel reparto di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro.
Dott.ssa Leone lei è stata chiamata solo recentemente per dare il suo contributo al reparto di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro. Come ha reagito a questa chiamata? Quali sono state le emozioni che ha provato?
“Ho ricevuto la telefonata il 26 febbraio nel primo pomeriggio e la mia è stata una reazione di stupore ed ero incredula. Dopo questa emozione è subentrata l’agitazione perché ho realizzato che finalmente potevo fare il mio lavoro, quello per cui mi sono specializzata, e che avrei cambiato vita dalla sera alla mattina. La mia risposta è stata subito – sì –. Anche perché la presa era immediata. La nostra è stata una – chiamata alle armi per l’emergenza Coronavirus – e non c’è stato il tempo per pensare. Quindi la risposta doveva essere – sì – o – no –. E la mia è stata sì, senza alcun ripensamento o paura”.
Dott.ssa Leone da lei passano i tamponi e i risultati dei casi positivi di Catanzaro e degli altri comuni della Regione. Che effetto le fa questa presa di visione dei dati?
“Dipende dai giorni. Nella maggior parte delle volte è preoccupante. C’è sempre dispiacere ogni qualvolta c’è un caso positivo. Sono cose che ti segnano e che comunque ti turbano, ti cambiano la giornata. Psicologicamente non è facile. Perché comunque pensi al fatto che potrebbe trattarsi di un tuo amico, di un tuo parente, o comunque delle persone a te più vicine. Prima era solo un parlarne, ora è come se questo nemico invisibile si fosse concretamente palesato ed è tra di noi”.
Quante ore al giorno è impegnato il suo team nell’espletare il suo lavoro?
“Il team è impegnato tutto il giorno. Dalle 8,00 di mattina fino a mezzanotte. Io sono impegnata nel lavoro con dei turni specifici. Ci sono volte in cui si lavorano i tamponi anche la notte. Tutto questo per dare una risposta più repentina in un periodo di urgenza e di emergenza come questo. In media arrivano in laboratorio 150 campioni al giorno da lavorare e quindi bisogna darsi da fare”.
Quanto tempo ci vuole perché la lavorazione di un tampone porti al suo esito positivo o negativo che sia?
“Dipende dallo strumento che si utilizza. Ci sono strumenti che per la lavorazione ci impiegano 6 ore per dare un risultato, alcuni 5 e altri un paio di ore. Questo per quanto riguarda l’esito del tampone e poi la risposta la diamo nelle 24 ore”.
Quali difficoltà ha riscontrato nel lavoro che svolge? Ci sono limiti di risorse, in termini di attrezzatura medica e di risorse umane?
“Difficoltà soprattutto relative alla gestione dei numeri di tamponi che arrivano. Quindi difficoltà in relazione all’urgenza. Quando arrivano i campioni ci sono dei criteri di valutazione che danno la precedenza ad un campione rispetto ad un altro. Si pensi al campione di un paziente oncologico, o a un caso pediatrico.
Quel caso lì, di gravità maggiore, avrà di sicuro la precedenza rispetto ad un caso sospetto di Covid-19 di una persona che sta relativamente bene a casa ed in auto-quarantena. Quindi la priorità si dà anche in base alla tipologia di paziente che si ha davanti e a chi ha presente la sintomatologia tipica dell’infezione. Al paziente asintomatico il tampone viene fatto, ma con una priorità diversa.
Per quanto riguarda limiti di risorse in termini di attrezzatura e di risorse umane devo dire che al momento la situazione è sotto controllo. Oggi sono arrivati anche nuovi kit ed inoltre tutto quello che si finisce viene rimpiazzato”.
Dott.ssa Leone cosa vuole dire ai suoi colleghi che come lei si stanno impegnando nella lotta a questo virus?
“Io mi auguro che passato questo periodo di emergenza, ci riconfermino e che non ci rimandino a casa. Mi auguro che questo percorso lavorativo sia solo l’inizio per una carriera”.
Quindi paradossalmente più che la paura per il virus, la paura del precariato?
“Sì. Perché il Coronavirus è un virus tra i tanti. Può trattarsi di un virus come quello della HIV o dell’Epatite.
Chi sceglie di fare questo tipo di lavoro conosce i rischi a cui va incontro. Quindi ci si assume le proprie responsabilità e si è consapevoli del fatto che, se non si seguono determinate metodiche e se non si dispone dei dispositivi di protezione, si può andare incontro a delle malattie e a delle infezioni.
Sei consapevole dunque di lavorare in un ambiente pericoloso. Quindi si sta trattando il Coronavirus come uno dei tanti virus pericolosi (Sars, Mers o altre tipologie di infezioni delle vie respiratorie).
E la paura più grande allora, dopo che si è svolto il proprio servizio per lo Stato, si ha per il – dopo emergenza –, con la paura di rimanere a casa. Molti colleghi non hanno risposto alla chiamata proprio perché hanno preferito non rischiare la propria salute per soli due mesi di espletamento del lavoro”.
Ricollegandoci anche a questo discorso, c’è una richiesta o un appello che vorrebbe lanciare, se ne avesse la possibilità, alle istituzioni locali o centrali?
“Io sì, semplicemente vorrei che si desse voce e merito a coloro i quali hanno dato la loro disponibilità in questo periodo di emergenza. Ci sono colleghi che si sono licenziati o che si sono messi in aspettativa per rispondere all’emergenza Covid-19. Ognuno di noi ha fatto delle scelte e ci stiamo assumendo le nostre responsabilità. È chiaro che non lo pretendo, ma mi auguro che tutti i nostri sacrifici vengano ripagati e che non siano stati vani”.
Dott.ssa Leone cosa mi dice a proposito del picco previsto nella nostra Regione. Deve essere ancora raggiunto?
“I numeri stanno crescendo. Da noi, in quanto A.O. Pugliese-Ciaccio, a mio avviso il numero massimo dei casi positivi deve essere ancora raggiunto. C’è ancora chi da fuori è rientrato in Calabria nella settimana scorsa”.
C’è chi stima di arrivare a 1000 contagiati in Calabria, secondo lei, dott.ssa Leone questa stima è plausibile?
“Assolutamente sì. La maggior parte dei tamponi che vengono effettuati sono di persone che sono venute a sapere di essere state a contatto con altre contagiate. Ma molti sono all’oscuro di essere stati in contatto con altri contagiati, o di essere loro stessi portatori del virus.
Basti pensare alle persone asintomatiche ad esempio. Possono stare bene, non esternare alcun sintomo da Covid-19, ma essere inconsapevolmente positivi e contagiare altre persone. Quindi nel momento in cui riusciremo a lavorare il campione in minor tempo, sarà più facile estendere la lavorazione del tampone a più persone. E di conseguenza il numero dei casi positivi aumenterà rispetto al numero attuale”.
Come può, secondo lei, dott.ssa Leone, essere fermata questa crescita dei contagi?
“Secondo me l’unica soluzione per poter debellare questo virus nel nostro territorio è quello di fare a tappeto tutti i tamponi. Così da – pescare – anche gli asintomatici e metterli in quarantena. Dando così la possibilità a chi lo ha contratto di fare un decorso e di mettere in sicurezza le altre persone”.
A voi personale sanitario viene effettuato il tampone, o al momento no?
“Al momento non abbiamo fatto nessun tampone. Però è in programma. Appena avremo il via libera lo dovremmo fare anche noi”.
Dott.ssa Leone cosa vorrebbe dire alla comunità o comunque a chi leggerà questo articolo? Quali raccomandazioni, o quale messaggio ritiene più importante da trasmettere?
“Sicuramente il – io resto a casa – lanciato anche dai social, dalla televisione, è più che valido. Perché meglio – qualche giorno – a casa tutti assieme, che non un mese a giorni alterni. Ci vorrà del tempo, però uniti, possiamo farcela. Non bisogna perdere fiducia nelle istituzioni e in chi ci governa. Perché ora come ora non vediamo la luce in fondo al tunnel, ma prima o poi ne usciremo e quindi bisogna collaborare al massimo. Ognuno di noi nel suo piccolo deve dare il proprio contributo e non deve mai perdere la speranza.
Sento gente in giro demotivata che dice – preferisco prendermi la multa ma io a casa non ci sto ed esco! –. Questo è sbagliatissimo. Si vanifica il lavoro di tutti coloro che stanno cercando di metter la parola – fine – a tutto questo e in più si mette a rischio la propria salute e quella degli altri. E così non deve essere.
Ogni qualvolta una persona in Italia, come in Calabria, come qui a Catanzaro, si prende il lusso di andare a correre o di uscire perché si annoia a stare a casa, sta mancando di rispetto a una persona che sta lavorando per cercare di salvare la vita di qualcun altro. Capisco che non è facile ma bisogna fare uno sforzo”.
In un momento in cui siamo costretti a stare “isolati” diviene anche difficile pensare al bene comune, quando invece è quello lo scopo. Cosa mi dice a riguardo dott.ssa Leone?
“La maggior parte delle persone fanno un ragionamento di tipo egoistico. Alcuni la vivono come una privazione della propria libertà e dei diritti umani. Ma di fatto quello che è stato predisposto è una tutela per la salvaguardia della salute e della vita umana, in un momento di emergenza come questo.
Che sia questo un momento di riflessione allora. Sono previste delle pene, si rischia il carcere per chi non rispetta le regole. Si pensi alla vita che conducono i carcerati tra quattro mura, forse in uno spazio 2×3.
Quindi il mio vuole essere anche un invito alle persone a non delinquere. E poi si è vero bisogna stare – rinchiusi – in casa, ma si hanno i propri comfort, i propri spazi, si possono riscoprire i propri hobby.
Per chi ne ha la possibilità, può trascorrere il proprio tempo con la propria famiglia. Quindi in fondo non ci si può lamentare. Si, può essere pesante, stressante, perché si spezza un’abitudine, una routine, però si è fondamentalmente in salute. Ed è questo quello che conta adesso, la salute”.
Tra i tanti appelli lanciati dai personaggi famosi, per invitare le persone a rimanere a casa, particolare è stato il messaggio lanciato dall’attore Luca Argentero, che ha detto “chi ha il privilegio di poter stare a casa, stia a casa!”. Il messaggio dell’attore si lega a quello che lei, dott.ssa Leone stava affermando!
“Sì, è proprio così. Chi può, chi ha la fortuna e il privilegio di poter restare a casa in un momento del genere, rimanga a casa.
Come direbbero i più giovani si ha la possibilità di stare nella propria – comfort zone –. È una possibilità che si ha per riflettere e per dare – parola – a quella piccola vocina che c’è dentro ciascuno di noi.
Presi dal consumismo, da questo 2020 che viviamo, non ce ne siamo resi conto, ma abbiamo corso tutti e non le abbiamo dato ascolto. E allora che sia il momento di ascoltarla quella piccola vocina e di apprezzare le piccole cose. Guardare di più a quello che abbiamo, perché abbiamo tanto, e guardare meno a quello che ci manca”.
Dott.ssa Leone ha qualcosa da aggiungere?
“Sì. Vorrei dire che, al di là di come andrà tutto, dopo questa emergenza, ognuno deve inseguire i propri sogni. Il mio è questo di lavorare nel laboratorio in cui sono stata chiamata ad operare in questo momento ed è il mio laboratorio di appartenenza.
È uno di quei laboratori per cui quando sono tornata dopo tanto tempo, in questa emergenza, il primo giorno di lavoro, mi sono scese le lacrime. Per me è come se fosse casa. È come sentirsi al posto giusto al momento giusto.
Io, per quanto possa essere faticoso, pericoloso, stancante il lavoro, quando sono in questo laboratorio sono felice. Perché faccio quello che amo fare, a prescindere dalle ore di lavoro che ho a carico.
Se verrò rimandata a casa o mi sarà data la possibilità di continuare a lavorare non lo so, io per il momento continuo a fare il mio.
Do il massimo, non lo faccio per avere uno stipendio. È il lavoro che ho scelto di fare, per cui ho studiato tutta una vita. La mia tesi è stata fatta proprio in Microbiologia.
Quindi è un lavoro che faccio con passione, con amore. È la mia missione. Se le mie doti verranno apprezzate, la cosa non potrà che farmi piacere. Ma se mi dovessero rimandare a casa vorrebbe dire che non era il mio momento.
L’importante comunque al di là della mia esperienza personale e dei miei sogni e del mio lavoro, è che arrivi il messaggio che c’è chi si sta battendo perché le cose vadano bene.
E anche il semplice stare a casa, non è banale, è importante. Sembra sciocco ma non lo è affatto. Anzi è un grande contributo. È un grande gesto di amore nei confronti di se stessi e degli altri”.
Grazie alla dott.ssa Leone Serena per aver dato la sua disponibilità in questo tempo in cui non c’è tempo per le parole, ma solo per i fatti. Buon lavoro e grazie per quello che sta facendo per noi.