Quarant’anni per un posto: la lunga battaglia di una biologa calabrese

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Dopo una lunga battaglia fatta di ricorsi e sentenze, il Consiglio di Stato ha finalmente dato ragione a Emira Picciotti, biologa di Catanzaro: quarant’anni dopo il concorso vinto, le viene riconosciuto il diritto al posto e un risarcimento di 1,2 milioni

Una vita intera per vedersi riconoscere ciò che le spettava. Emira Picciotti, biologa calabrese classe 1953, ha affrontato un estenuante percorso giudiziario durato quattro decenni per ottenere giustizia e il risarcimento per una mancata assunzione che risale al 1983. Il Consiglio di Stato ha finalmente sancito che la donna avrebbe dovuto ottenere quel posto al Centro provinciale di ecologia di Catanzaro, ma la sentenza arriva a conclusione di una lotta intrapresa quando ancora esisteva il Muro di Berlino, si usavano le lire, e le cabine telefoniche a gettoni erano un’icona del paesaggio urbano.

Tutto comincia il 7 dicembre 1983, quando la giovane Picciotti, appena laureata e con una famiglia appena formata, vince un concorso pubblico. Sarebbe dovuta entrare in servizio a Catanzaro, ma la sua assunzione venne subito bloccata dal Coreco (Comitato Regionale di Controllo), che invalidò il suo incarico poiché il posto di biologo era stato trasferito al Servizio Sanitario Nazionale. Un colpo inatteso, ma Picciotti non si arrese: fece ricorso, e nel 1990 il Consiglio di Stato le diede ragione, annullando la decisione del Coreco. Un anno dopo, il Comitato ripeté l’annullamento per assenza di posti in organico. Nonostante un’altra delibera del 1993 le riconoscesse i diritti economici con effetto retroattivo, non ci fu ancora nessuna assunzione ufficiale, e la battaglia proseguì.

Anni di sacrifici e rinunce si accumularono per Emira Picciotti, che intanto cresceva i suoi figli e si manteneva tramite borse di studio e lavori occasionali. “Non volevo arrendermi a un’ingiustizia così palese,” ha raccontato, “anche se ciò significava continuare a combattere per un diritto continuamente negato.”

Dopo vari tentativi e lunghe attese, la svolta è arrivata solo recentemente, con una sentenza del Consiglio di Stato del 2 ottobre 2024. La decisione riconosce il diritto della biologa al risarcimento per gli anni dal 1983 al 1993, includendo le somme che avrebbe dovuto percepire, rivalutazione monetaria e interessi, per una cifra complessiva che, secondo il suo avvocato Gian Paolo Stanizzi, potrebbe toccare 1,2 milioni di euro.

“Quando ho saputo della sentenza, sono rimasta incredula,” confessa la dottoressa Picciotti. “Dopo decenni di altalene giudiziarie, non ci speravo più.” Parla di questi lunghi anni come di un susseguirsi di rinunce e sacrifici, e ricorda quanto fosse difficile mantenere una famiglia senza un lavoro fisso. “Ripresi a studiare per sopravvivere, ho collezionato borse di studio, ma non erano sufficienti per crescere i miei figli.”

Quarant’anni di pazienza e determinazione. Oggi, mentre la vita le ha donato tre nipoti, Picciotti non guarda più al passato con rabbia ma con una prudenza disincantata. I piani futuri? “Prima voglio vedere la sentenza nera su bianco,” risponde, mostrando come questa lunga vicenda le abbia insegnato a non dare nulla per scontato.

Un caso surreale, sintomo di una burocrazia capace di intrappolare per decenni i diritti di una persona, ma che si è finalmente concluso con una vittoria – seppur tardiva – per Emira Picciotti e la sua indomabile fiducia nella giustizia.