La riflessione del presidente della Cec, Mons. Vincenzo Bertolone.
«Le difficoltà più serie di un uomo cominciano quando egli è libero di fare ciò che vuole».
Lo scienziato inglese Thomas Huxley, ha ragione quando osserva che il difficile non è solo nella conquista della libertà, ma nel suo esercizio consapevole, che è poi condizione necessaria per dare un senso autentico alla propria indipendenza. La dimostrazione della validità di questo assunto è arrivata nei giorni della pandemia: il coronavirus ci ha sorpreso così attaccati alla vita, ma a quella fatta di comodità e vizi irrinunciabili, di cui lo Spitz ed il week end fuori porta – al mare o in montagna – rappresentano ormai simboli universalmente riconosciuti. Insomma, l’avanzare del virus ci ha trovato impegnati a rivendicare la libertà personale come un diritto sacrosanto e inalienabile e perciò a rifiutare ogni sua compressione, e pazienza se poi un amico, un parente, un vicino di casa o un perfetto sconosciuto, in nome del diritto insopprimibile all’aperitivo, si ritroverà in ospedale su una barella, nella speranza di trovare ancora un letto libero per poter essere ricoverato.
Adesso è tragicamente evidente: attorno alla parola “libertà”, che è sulle labbra di tutti, in particolare di quelli che cercano di ferirla e piegarla, si consumano molti equivoci e contraddizioni, incluse quelle di chi, dopo aver esaltato il principio dell’assoluta autodeterminazione e contestato insieme vaccini e fede, leggi e regolamenti, ora invoca la Madonna nei cieli e il coprifuoco nelle strade. Insomma, sotto l’albero della morale, che oggi si è seccato, cresce solo l’individualismo egoistico in cui ciascuno costruisce il piccolo modello etico: insieme come tanti ragni, ciascuno con la propria tela da ritessere quando è rotta da un colpo di vento o da una goccia di rugiada. E più che il magistrale racconto della peste fatto dal Manzoni ne I Promessi Sposi, in questi giorni di quarantena dovremmo forse riprendere in mano La leggenda del Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov, di Dostoevskij: finiremmo per dare ragione a quel cinico del cardinale che di fronte a Gesù, tornato sulla terra e messo subito in prigione per paura di disordini, gli dice che si è sbagliato sugli uomini, i quali non libertà né spiritualità vanno cercando, ma solo pane e godimento. E tutto il resto al diavolo.
Sembra la cronaca di questi giorni. Di ore che, per fortuna, tra le difficoltà e le battaglie vere di chi – come medici ed infermieri e forze dell’ordine – combatte in prima linea, testimoniano anche (e soprattutto) altro: ovvero lo scorrere di un tempo di sacrificio, che – come il termine stesso evidenzia – rende sacra la vita e la sua difesa. È il tempo, anche, di un’educazione più profonda, capace di orientare verso i veri valori, mostrandone non tanto la pura e semplice (e presunta) intangibilità, ma in particolare e con forza il legame con la nascita di una genuina dignità umana. Perché la libertà vera non sta tanto nel fare quello che si vuole, ma nel volere esattamente ciò che si fa, con scienza e coscienza. Un percorso complesso ma imprescindibile, per essere davvero liberi nella verità.