Sicuramente aveva ragione Friedrich Nietzsche quando disse la famosa frase: “Senza musica la vita sarebbe un errore“, ma aveva anche ragione Victor Hugo quando affermò che ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere la musica lo esprime.
La musica sincronizza, consolida le relazioni e ha quindi una sua funzione a livello sociale poiché è in grado di aggregare e di costituire un linguaggio universale che è capace di mettere in contatto, di unire persone di cultura ed estrazione differente.
Purtroppo, uno tra i grandi guai della società moderna è l’indifferenza: indifferenza verso il prossimo, verso il più debole, verso chi è tra gli ultimi. L’indifferenza allontana le persone. La solidarietà invece è come una coperta calda che aiuta e riscalda chi ha più bisogno e conforta chi la dona, creando un principio di vita valido per tutti.
Il musicista calabrese polistrumentista, cantante e autore Sasà Calabrese non è solo un eccellente artista che collabora con grandi artisti, ma è soprattutto una persona coerente che fa della passione il suo mestiere. Basta seguirlo sui canali social per scoprire un mondo fatto di impegno musicale e anche sociale.
Ed è proprio di quest’ultimo aspetto che vorremmo parlare: dove l’arte, la musica in particolare, diventa messaggio concreto di solidarietà e di coraggio.
Oggi donare senza avere i limiti imposti dalla cronaca politica diventa quasi un impegno morale e non è facile non essere omologato. Ciò che le pagine dei giornali raccontano in questi giorni è di uno sbarco di migranti bloccati al porto di Catania. Laddove il dovere morale e legale di salvare tutti dovrebbe essere l’unica cosa sensata si contrappone la disperazione di alcune persone che restano a bordo di una nave prigione poiché considerati “residuali“. “Residuo umano” di uno sbarco selettivo che antepone l’umanità a una tecnicità di linguaggio povera, irrispettosa e soprattutto disumana.
Mentre lo scontro politico va avanti, Sasà Calabrese fa della musica la sua arma scegliendo la comunione di anime senza i limiti delle barriere geografiche e si dirige a Rogliano, un piccolo comune seduto sulle montagne del cosentino a pochi passi dall’autostrada.
A Rogliano c’è il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) dell’ex complesso alberghiero “La Calavrisella”, da poco riattivato, che accoglie tanti profughi nord-africani.
Sasà Calabrese pubblica la sua esperienza sulla sua pagina Facebook attraverso fotografie che parlano da sole e un racconto molto intenso delle sue emozioni.
La musica è “una strada sotto il mare” che traccia il cammino in ogni Paese del mondo
“Quando sono arrivato il primo giorno ero molto teso. Ho messo sul navigatore CASA DI ISMAELE Rogliano, Cosenza, ma veniva solo un puntino in mezzo ad una mappa, senza nessuna indicazione.
“Vado a sentimento” ho pensato. Ho parcheggiato nella piazza e sono sceso a piedi. Avevo con me chitarra, computer, tastiera midi 49 tasti, asta, microfono, e nessuna parte del corpo libera da movimento.
Ho bussato e mi ha aperto uno dei ragazzi che viveva (e vive ancora) in questo centro.
“Sono ragazzi minorenni non accompagnati”, mi disse l’agenzia per la quale svolgevo questo laboratorio di musica.
Dopo l’apertura della porta vengono altri a darmi una mano. Era l’ora della controra, subito dopo pranzo, e nella sala adibita a mensa c’era ancora odore forte di cucinato. La TV sintonizzata su un canale che mandava videoclip musicali, e faceva anche un po’ freddo.
– Facciamo il caffè?
Mi disse uno dei ragazzi.
Risposi di sì.
Uno di loro mi accompagnò al piano di sotto, nella stanza che avrebbe ospitato i nostri incontri.
Nigeria, Eritrea, Egitto, Bangladesh, queste erano le bandiere che sventolavano nel petto interno di questi ragazzi. Parlavo un po’ inglese, un po’ italiano e un po’ con le mani, a gesti.
I primi giorni ho insegnato a Noor a prendere un barrè.
Saliou – invece – aveva già le mani sulla tastiera, con il suono di un pad preso da Logic. Razu cantava una canzone “Bangla”, diceva che era una canzone d’amore.
Ho impiegato più incontri affinché il loro sguardo pareggiasse il mio. Perché lo avevano sotto i piedi. Gli stessi piedi infilati nelle ciabatte, d’inverno; che loro sono abituati al freddo cattivo.
A quello buono neanche ci fanno caso.
Mi sono innamorato della loro pazienza, della loro voglia di capire, di integrarsi.
La prima canzone che mi è venuta in mente di arrangiare è stata L’ITALIANO, di Toto Cutugno. Lo so, può sembrare strano, ma il ritornello possedeva una frase forte:
SONO UN ITALIANO, UN ITALIANO VERO
Volevo che quella cadenza in Mi maggiore durasse almeno 2/4 in più, per risolvere poi in un semplice La minore che sottolineasse quelle parole.
Per farla breve:
sono andato per insegnare qualcosa, e sono tornato che avevo imparato delle cose da loro.
Avevo imparato che si può sorridere in un terra sconosciuta e con i tuoi familiari distanti da tutto e da tutti.
Ho imparato che da soli non andiamo da nessuna parte, e che forse mischiandoci potremmo avere una remota possibilità di essere migliori di quelli che siamo.
Ho imparato che alzare uno sguardo di una persona è difficile, e che quando ci si riesce è come aver spostato una montagna.
E ho imparato anche una cosa importante, ma che avrei fatto a meno di imparare:
Che viviamo in un mondo di merda.
Dove l’unico “carico residuale” è di natura organica e secca, e spesso risiede nei corpi di chi non capisce quanta sofferenza ci sia nel mettersi – per un attimo – dall’altra parte“
Sasà Calabrese si autodefinisce contadino. Si capisce benissimo che non è togliere importanza e valore alla sua arte, ma al contrario è aggiungere. Non è tanto importante ciò che doniamo e quanto si dona al prossimo. Spesso si conosce ciò che si è regalato, ma è ignota la grandezza di ciò che si riceve. Un po’ come il contadino che semina e raccoglie i suoi frutti, il musicista insegna la sua arte perché un giorno sa che ciò che è stato scritto tornerà nella sua forma più bella.
Pagina Ufficiale Facebook di Sasà Calabrese