A volte sembra che la mano scivoli via sul foglio delle inquietudini “bolsceviche” dell’istinto: Istinto questo sconosciuto che dai melodrammi cromatici di Van Gogh al “Fauvismo” di Stravisnky, fino all’esaltazione scenica dell’immaginazione kubrickiana, reca con sé il potere semantico del secolo scorso e un nuovo potere linguistico del secolo in corso. La costruzione dell’immaginario degli ultimi 50 anni dimostrerebbe questo, ma nella realtà, tutto questo ha assunto un’altra natura.
Il realismo provocatorio ed emozionale ha lasciato spazio al sensazionalismo fine a se stesso, mentre il potere dell’immaginazione, tanto teorizzato da George Orwell e Steve Jobs, si è tramutato in un profondo stato d’incoscienza delle emozioni, rese più facili da esternare e più velocemente fruibili da dietro uno schermo, piccolo o grande che sia. Ed è per questo che “l’essere”, che da oggi chiamerò per semplicità “apparire” umano, riesce a mediare l’inquietudine della sua nuda forma, traducendo in mera anomia del significato ciò che vede attorno e fuori da sé; così da farlo diventare un film in 3 e 4 D. Dittatura del pensiero unico e genuflessione all’egemonia del capitale finanziario, non sono neanche lontanamente classificabili, quando non siamo in grado di carpire la bellezza e il dolore del nostro piccolo mondo antico. E così accade che passi da uno dei parchi naturalistici della tua città; uno dei più belli e variegati di tutta la Calabria, esplorando in rassegna le diverse tipologie di fauna e flora locale, in perfetto equilibrio con le diverse tipologie di creazione dell’animo umano contemporaneo. Certo non tutte lasciano un senso d’interesse o stupore e alcune appaino davvero brutte, ma il potere dell’immaginazione sta anche nella capacità di inserire in un quadro, i colori nel modo giusto e dar loro la giusta spazializzazione. In questo il Parco della Biodiversità di Catanzaro, a mio parere è riuscito bene, unendo pensieri e immagini con la vita reale, senza il bisogno di creare ex-novo, un fazioso paradiso post-classicista, dando modo a menti e generazioni diverse di poter interagire con i colori e la fantasia.
Era il 2015 quando passeggiando tra i viali dei giardini mi ritrovai ad osservare con cura e rispetto le opere installate permanentemente, in quello che può essere tranquillamente definito un museo a cielo aperto, tra cui l’opera denominata I temp(l)i cambiano – Terzo Paradiso, di Michelangelo Pistoletto: un’installazione nata in collaborazione con ECODOM – Consorzio per il riciclo degli elettrodomestici. Utilizzando cestelli di lavatrici come colonne e serpentine di frigoriferi come basamento e timpano, Pistoletto realizza un tempio che poggia su una base instabile come simbolo precario dell’evoluzione. Niente male se non fosse che notai che uno di questi cestelli era ammaccato. Tra me e me pensai: “forse è parte dell’opera….” e continuai a camminare.
Mi ritrovai davanti ad una casa di specchi e la mia mente cominciò a viaggiare: era un’opera di Daniel Buren denominata, “Cabane éclatéé aux 4 coleurs”; un non luogo plastico-architettonico la cui caratteristica specifica principale è la capacità di essere trasformato dal luogo, creando un rapporto di reciproca interdipendenza con il luogo stesso. Questo è quanto lessi nella presentazione, ma per me era una location perfetta per quel gioco di colori e figure che immaginavo nella copertina del nuovo album della mia band e così fu. Passavano i mesi e notavo però che l’opera non era più la stessa; le luci riflesse lasciavano sempre più spazio a nuove forme di “geroglifici urbani”, privi di qualsiasi anamnesi poetica o storica. Quello che più m’imbarazzava però è che il rapporto dei visitatori con il parco e con le singole opere, restava un rapporto di pura e cruda indifferenza, sintomo della mancanza dilagante del rispetto verso il lavoro e la curiosità istintuale che continua ad essere un linguaggio speciale dell’apparire/essere umano. Non m’interessa tirare le somme su quello che era stato promesso o non inteso o sulla differenza con le altre realtà, perché per anni ho visto romani passare dritti davanti al Colosseo e parigini guardare la Cattedrale di Notre Dame, come si guarda il menù di un ristorante, ma se ancora abbiamo una capacità linguistico/semantica oltre la comunicazione anteposta dall’hastag, facciamo arrivare almeno le nostre scuse al maestro Buren e Pistoletto, per non aver fatto nulla per impedire che ciò accadesse: noi non possiamo controllare i nostri figli etc etc. Noi abbiamo il diritto/dovere di vivere e rispettare i luoghi e sollecitare un controllo delle amministrazioni, ma se continuiamo a essere i primi a osservare la bellezza con minore enfasi di quando ci arriva un messaggio Whattsapp, allora non lamentiamoci del fatto che; “Tutto va male”!
Fausto Bisantis